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Il trattamento del Tumore della prostata (Pca)
Tumori a rischio basso, intermedio e alto. Stadiazione
Abbiamo visto in precedenza come la diagnosi di Tumore prostatico (Pca) si faccia sulla base della visita rettale (ER) e/o del PSA. I Pca vengono divisi (su base clinica) in Tumori a rischio basso, intermedio e alto sulla base del PSA, dell’ER e della gradazione alla biopsia. La gradazione indica il grado di malignità del tumore. E’ anche utile sapere che oltre ad una stadiazione locale (Pca localizzato o localmente avanzato – sono 2 concetti diversi), si deve sapere se il tumore si è diffuso. Cioè se ha interessato i linfonodi loco-regionali e/o gli organi a distanza (in particolare lo scheletro). A questo servono Tac addome/pelvi e Scintigrafia ossea.
Dopo la stadiazione il trattamento
Una volta effettuata la stadiazione, si deciderà il trattamento. Cioè i Pca localizzati o localmente avanzati , senza diffusione a distanza, verranno trattati con terapia con intento radicale: cioè con Prostatectomia radicale (PR), oppure con radioterapia (RT). Per quelli diffusi si opterà per una terapia medica, cioè per una castrazione chimica (v. dopo) +/- chemioterapia.
Questo è lo stato dell’arte. Ma una volta le cose erano moto diverse. Infatti fino a circa la metà degli ’80, la terapia del PCA consisteva nella castrazione chirurgica per tutti i pazienti . Infatti tale terapia si basava sulle osservazioni di Huggings (USA metà anni ’40), che aveva scoperto che la deprivazione androgenica (cioè la castrazione) causava atrofia del tessuto prostatico e quindi anche del tumore. Questo concetto è ancora valido (sia pure con delle limitazioni), ma attualmente viene messo in pratica nei Pca diffusi oppure nelle riprese di malattia dopo PR o RT. Mentre per i tumori localizzati si è affermata la possibilità di trattarli con terapia radicale, cioè con Chirurgia (PR) o con radioterapia (RT).
La Prostatectomia Radicale
In particolare la Prostatectomia Radicale (PR) ha avuto ampia diffusione in tutto il mondo occidentale a partire (in Europa) dalla metà degli anni ’80. L’ intervento è molto complesso e consiste nell’asportare completamente prostata e vescicole seminali (+ eventualmente i linfonodi loco-regionali – cioè il tessuto linfatico che si trova a livello dei vasi che drenano la linfa di provenienza dalla prostata, vale a dire i vasi iliaci interni ed esterni).
Questo intervento è diverso dal più comune (e più semplice) intervento di adenomectomia, che si fa nei casi di Ipertrofia prostatica benigna (IPB) e che consiste solo nell’asportazione del tessuto ipertrofico formatosi all’interno della ghiandola prostatica. Immaginate un’ arancia: l’adenomectomia consiste nell’asportare la polpa, lasciando in sede la buccia, la PR consiste nell’asportare tutta l’arancia. La figura mostra bene cosa succede in una prostata adenomatosa (v Fig I).
Complicanze
Parleremo in seguito dell’intervento di adenomectomia, quando si parlerà IPB. Per quanto riguarda invece l’intervento di PR, va detto che è un intervento molto delicato e difficile. E questo sia per la scomodità del campo chirurgico (praticamente si opera in un buco, con scarsa visibilità), sia per la precisione della dissezione anatomica necessaria per eseguire in modo corretto tale intervento. La prostata va staccata in toto dall’uretra, viene isolata mano a mano che si procede in direzione craniale, le vescicole seminali vengono liberate e il blocco prostata-vescicole viene staccato dal collo vescicale. Quest’ultimo viene poi attaccato al moncone uretrale, dopo rimodellamento (sulla guida di un catetere che va mantenuto in sede per un certo numero di giorni). Complicanze comuni dopo P R sono l’incontinenza (talvolta) e l’impotenza (spesso).
Si può quindi capire come il meccanismo sfinterico uretrale venga indebolito. Bisogna anche sapere che i nervi che sono alla base dell’erezione (nervi erigentes) sono situati vicino al bordo laterale della prostata e che quindi spesso vengono lesi durante l’intervento. Questo perchè o si esegue di proposito un intervento allargato, oppure perché possono essere lesi, anche se si tenta di risparmiarli – la cosiddetta PR nerve-sparing. Questo fatto spiega perché l’impotenza è una delle conseguenze frequenti della PR. Inoltre in una certa percentuale di casi si ha incontinenza urinaria (intorno al 15% nelle varie casistiche), a causa dell’indebolimento del meccanismo sfinterico (cui si è accennato prima). Bisogna poi non dimenticare che la PR è un intervento che potenzialmente può portare ad un marcato sanguinamento intra-operatorio, tale da necessitare di trasfusioni (si sono registrati anche casi di morte dovuta al sanguinamento, anche se rari).
La Radioterapia (RT)
Va detto anche, parlando di trattamento radicale del Pca localizzato, che una alternativa alla Chirurgia è rappresentata dalla Radioterapia (RT). La RT consiste nel somministrare una adeguata quantità di radiazioni alla prostata, alle vescicole seminali e, se indicato (ad esempio nei Pca ad alto rischio), anche al tessuto linfatico che circonda i grandi vasi (arterie e vene) della pelvi. La creazione di apparecchiature per RT di ultima generazione ha permesso di ottimizzare il puntamento e la successiva somministrazione di radiazioni, colpendo esclusivamente il tessuto malato e non gli organi vicini (cosa che non succedeva agli inizi della RT). Questo fatto permette di limitare al massimo le complicanze a carico della vescica e del retto. Infatti nelle casistiche più recenti i disturbi urinari, tipo cistite emorragica da raggi (cistite attinica) sono diventati rari, così come le infiammazioni dell’ampolla rettale (proctiti)
I risultati del trattamento radicale del Pca, sia della PR che della RT, sono molto buoni, con sopravvivenze a 10 anni fino al 90% (naturalmente ci sono delle differenze fra le diverse casistiche, dovute anche al non omogeneo reclutamento dei malati fra le varie casistiche, che sono retrospettive e non prospettiche). E’ chiaro che nei PCA ad alto rischio la sopravvivenza è minore rispetto ai PCA a rischio basso e intermedio (v. capitoli precedenti). Mancano studi randomizzati veri e propri, ma si può affermare che a distanza i risultati della PR sono leggermente migliori di quelli della RT.
Nessun trattamento per i tumori a basso rischio?
Ci si è però accorti negli anni che (come ricordato nella parte I° di questa trattazione relativa al Pca) una gran parte di questi malati sarebbero stati bene ugualmente senza alcun trattamento! Soprattutto quelli con tumori a basso rischio . Mi rendo conto che tale affermazione è molto impegnativa, ma ci sono dati inequivocabili, tratti soprattutto da 2 studi randomizzati, iniziati all’inizio dei ’90 (uno scandinavo e uno americano), che mostrano come nei pazienti con Pca a basso rischio il trattamento non ha portato benefici riguardo alla sopravvivenza, rispetto a pazienti non trattati e posti solo in osservazione (con dei follow up molto lunghi). Da qui le basi teoriche della Sorveglianza Attiva cui si è già accennato nella prima parte relativa al PSA.
Risultati del PCA
Nell’insieme comunque il trattamento radicale del PCa dà ottimi risultati sulla sopravvivenza, con una certa percentuale di casi che presentano tuttavia una ripresa di malattia. Spesso in questi casi si ha una ripresa biochimica di malattia che non sempre corrisponde ad una ripresa clinica, ma di questo parleremo in un apposito Capitolo.
All’inizio di questo Capitolo abbiamo parlato di terapia di deprivazione ormonale, cioè di castrazione (ADT). Tale terapia ha ancora una validità, e vediamo quando. Intanto oggi non si fa più una castrazione chirurgica, ma chimica. Cioè si somministrano farmaci anti-androgeni o farmaci attivi sull’ipofisi, che provocano un blocco nell’azione o un blocco nella produzione di Testosterone (tst).
L’indicazione all’ADT si ha nei seguenti casi: Pca diffuso fin dal momento della diagnosi (i cosiddetti M+), abbinato a radioterapia (RT) nei Pca a rischio alto e intermedio (localizzati) , nei pazienti anziani o con importanti comorbidità (non adatti ad un trattamento radicale), nei casi con ripresa di malattia dopo intervento radicale (ev abbinato a RT).
Concludiamo questo capitolo sul trattamento ricordando che nei pazienti più anziani o con importanti comorbidità si sconsiglia di continuare a cercare il tumore della prostata oppure, in certi casi, di non trattare il tumore. Facendo semplicemente quella che si chiama una vigile attesa (diversa dalla S A che impone tutta una serie di controlli).